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Team Voltron Heroes; Capitolo 1
La caduta degli eroi
Gotham City, Anno 2134
Gotham SuperNews. Servizio di Nadia Rizavi.
Un nuovo nemico a Gotham?!
Durante il giorno può sembrare una città normale: grattaceli in vetro che tolgono il fiato, strade affollate piene di gente sorridente, negozi di costosi souvenir di supereroi muscolosi, ristoranti di ogni tipo in ogni quartiere. Ma è durante la notte che il sogno inizia a diventare un incubo. Dopo il tramonto, la città viene coperta da un manto nero e oscuro. Uscire di casa è come un suicidio, tornare a casa vivi e salvi quasi una missione impossibili.
Quando il sole cala, Gotham si riempie di trafficanti di droga e essere umani, spacciatori, assassini, psicopatici con un coltello, boss del crimine con i loro scagnozzi, terroristi con la mitraglia. Ma da ogni incubo prima o poi bisogna svegliarsi; e come la sveglia la mattina presto ci riporta alla realtà svegliandoci da un sogno orribile, anche a Gotham esiste uno spiraglio di speranza: coloro che durante la notte, nascosti dietro una maschera, aiutano i più deboli seguendo le leggi della giustizia.
Le persone hanno iniziato a chiamarli eroi, e poi si accorsero che non erano solo eroi, ma grandi eroi, supereroi. Hanno protetto Gotham durante la notte per molto tempo senza lasciarla sprofondare nel caos e nella notte. Sono simbolo di speranza e ispirazione per grandi e piccoli mentre ricoprono la città da uno scudo indistruttibile.
Ora, per la prima volta dopo anni, supereroi di tutto il mondo si incontreranno nuovamente qui a Gotham. La città è in panico: una nuova minaccia è in arrivo? Un nuovo nemico a Gotham così potente da dover richiedere tutti i supereroi del mondo? La polizia non riesce a dare spiegazioni o non vuole? Dobbiamo preoccuparci per la città e le nostre vite?
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“Sono solo un sacco di cazzate”: Keith brontolò, buttando il giornale sul tavolino in vetro del salotto di Bruce Wayne. L’impatto violento rimbombò attraverso la lastra in vetro del tavolino da caffè, facendo tremare il whisky nei piccoli bicchierini ricchi di decorazioni e particolari. Si massaggiò la fronte, accasciandosi con foga nel comodo divanetto verdastro, infastidito dai giornali che accarezzavano la stessa tematica da giorni in prima pagina. I supereroi di tutto il mondo si stavano riunendo a Gotham, e allora? L’unica cosa che sicuramente non volevano era scatenare il panico tra la gente, e Rizavi riusciva sempre a essere un passo avanti a loro. L’ossessiva giornalista era sempre col fiato sul collo a Bruce e alla polizia, indagando su nuovi scoop eccelsi tra Batman e Wonder Woman, i gossip sui Titans o eventuali teorie su nuovi supercattivi che la gente prendeva alla lettera. Il problema era che lei lavorava per la polizia, fungendo da comunicatore tra polizia, supereroi e popolo, ma ignorava completamente le regole che le avevano imposto e non migliorava il fatto che si fosse segretamente alleata con il giornalista televisivo Ryan Kinkade, in questo modo avevano il telegiornale e i giornali modificati a loro piacimento.
“Iverson o Sanda non posso semplicemente licenziarli entrambi?”: brontolò l’uomo, scuotendo in pressione la testa e guardando nuovamente la prima pagina del giornale piegato.
“Nadia e Ryan sono giornalisti troppo di successo tra le gente, questo non li fermerà…”: rispose Takashi, sedendosi accanto a lui sul divanetto e bevendo il whisky dal bicchierino tutto d’un sorso:” Sono solo dei ragazzi che amano i supereroi e si divertono, sai, come te lo eri con la formula 1…”
“Hai detto giusto, lo ero. Adesso sono cresciuto, Takashi, non sono più un adolescente”: grugnì lui, incrociando le braccia al petto, scuotendo nuovamente la testa e ripensando ai tempi in cui suo padre era ancora in vita, in cui esultava ogni volta che lui sfrecciava vittorioso sul traguardo sollevando un enorme trofeo o stappando una bottiglia di costoso champagne mentre lo prendeva in braccio o lo faceva salire sul podio con lui. Ma allora era solo un bambino, un marmocchio. Keith era cresciuto, era diventato un adulto e così dovevano anche fare gli altri.
“Io non capisco, davvero”: continuò lui, brontolando e alzandosi dal divanetto, camminando intorno al salotto in stile classico e vecchio, pieno di mobili, oggetti e arredi antiquati e costosi:” E’ così difficile per loro dire in giro che Bruce ha offerto a tutti i supereroi del mondo un bicchiere di vino e che quindi saranno a Gotham solo per una stupida cena?!”
“Vuoi davvero la mia risposta?”: Takashi alzò un sopracciglio, versandosi dell’altro whisky nel bicchiere e sedendosi comodamente, appoggiando la schiena al morbido schienale. Nel suo tono c’era un po’ di ironia, quella stessa ironia che lo seguiva sempre.
“No, voglio solo capire il motivo per cui mettono sempre nel panico la gente…”: lui scosse la testa, passeggiando fino a una finestrella che dava sulla grande città. Grattaceli alti che coprivano il tramonto occupavano il paesaggio e nascondevano gli edifici più piccoli. Keith fece un sorrisetto, ridacchiando un po’ tra sé e sé.
“E’ quasi il tramonto, sai cosa vuol dire questo, Shiro?”: lui sogghignò, girandosi verso l’uomo più anziano, che quasi si strozzò con il whisky.
“Ne abbiamo già parlato, Keith”: lui scosse la testa, guardandosi la protesi robotica in acciaio e titanio:” Ho smesso di essere Shiro tanto tempo fa…”
“Ma non ti senti… arrabbiato?”: lui strinse i pugni:” Non ti senti arrabbiato di aver perso qualcuno, sapendo che la causa di tutto è ancora là fuori?”
“Se vuoi sapere la mia opinione, no.”: ha risposto, alzandosi dal divanetto mettendo le mani dietro la schiena e guardando l’enorme quadro di Bruce sopra il camino:” La pazienza produce concentrazione, Keith, non devi seguire Sendak in capo al mondo. Lui uccide, Keith. Lui può toglierti tutto e farti molto male.”
“Sono diventato Zarkon solo per vendicare mio padre; sei stato tu a farmi diventare un supereroe”: lui strinse i pugni, sistemandosi i guanti in pelle e prendendo la sua giacca dalle spalline del divano, dirigendosi con foga verso la porta.
“Keith”: la voce ferma e autoritaria di Takashi lo fece fermare sull’uscio, una mano sulla parete fredda e ruvida:” Lo dico solo per il tuo bene”
“Lo so, Takashi…”: lui sospirò, appoggiando la fronte sul dorso della mano:” Ma la città ha bisogno di me, e anche di te”
“I cittadini di Gotham hanno troppa fiducia su noi supereroi”: lui continuò, continuando a guardare il quadro e avvicinandosi a Keith:” E noi abbiamo troppa fiducia su noi stessi. Succederà solo quando finalmente inizierai a trovare una squadra.”
“Lo ripeti sempre”: lui ridacchiò leggermente, girandosi verso di lui:” Ma Zarkon lavora da solo”
“Devi solo aspettare, a volte ti ritroverai qualcuno quando meno te lo aspetti”: lui sorrise:” E’ così che ho incontrato Adam…”
“Ci risiamo…”: lui alzò gli occhi al cielo, scuotendo la testa abbastanza divertito, guardando nuovamente la finestra e lasciando un’occhiata a Takashi.
“Devi andare, lo so…”: lui annuì, mettendosi le mani in tasta:” Stai attento là fuori, e sopravvivi anche stanotte…”
“Come tutte le notti del resto…”: Keith canticchiò, girandosi nuovamente.
“Keith”: l’uomo lo fermò di nuovo:” Stai attento stanotte, in particolare. La riunione degli eroi può essere un bersaglio.”
“Capito, signore”: lui annuì.
“E non cercare Sendak, c’è qualcosa di diverso stanotte… ho una cattiva sensazione…”: lui spiegò, guardandosi nuovamente la protesi:” Promettimelo, Keith.”
“Scusa, Takashi, ma Zarkon non fa promesse”: lui si morse il labbro, uscendo dalla stanza.
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L’aria di Gotham di notte è sempre fresca, abbastanza da dover indossare una giacchetta per passeggiare negli stretti e bui vicoli. Il profumo di gas e inquinamento era sempre presente, così come il normale suono delle sirene della polizia e le luci traballanti dei lampioni rotti.
Si potevano udire dei leggeri e veloci passi in un vicolo tra vecchi edifici abbandonati al centro della città, pieni di graffiti, immondizia e fumo. Un uomo incappucciato stava passeggiando, le mani nelle tasche mentre si guardava intorno per non essere seguito. La luna alta nel cielo illuminava lievemente il vicolo e, quando l’uomo svoltò a destra, un lampione illuminava una macchina parcheggiata vicino a un cassonetto dell’immondizia, un uomo altrettanto incappucciato appoggiato comodamente a esso.
Alla vista dell’arrivato, la figura si ricompose, spegnendo la sigaretta e buttandola senza troppi problemi nel cassonetto.
“Ce ne hai messo di tempo, Pronok”: disse, fermandosi poco prima del confine con la luce:” Ti hanno seguito?”
“Sono stato cauto…”: rispose l’altro:” Il pipistrello non è tanto veloce quando invecchia…”
Ridacchiò tra sé e sé, tirando fuori dalla tasca del cappotto un gruzzoletto di banconote.
“Bada a come parli. Tutti i supereroi del mondo si sono riuniti, aiuteranno sicuramente il pipistrello”: lo rimproverò, avvicinandosi alla macchina, aprendo la portiera e prendendo un sacchetto di carta con dentro della polverina bianca.
“Non volevo della farina, Haxus!”:Pronok esclamò, ringhiando all’uomo non appena gli porse il sacchetto che sembrava venisse da una panetteria:” Cos’è successo? Sendak si è messo a fare il pasticcere?”
Haxus tirò fuori un coltellino, avvicinandolo alla gola dell’altro, con aria minacciosa:” Gotham brulica di supereroi stanotte, non vorrai mettere il nostro capo nei guai! Questa è cocaina!”
“Mi scuso”: annuì, prendendo il sacchetto grugnendo:” Non voglio di certo mettere Sendak nei guai attirando l’attenzione…”
“Lo farai se continuerai a nominarlo!”: Haxus ripetè, rimettendosi le mani in tasca e dirigendosi verso la macchina. Il rumore di qualcosa di metallico li fece sobbalzare entrambi, guardando il cielo e prendendo delle pistole dalla cintura dei pantaloni.
“E’ il pipistrello?”: Pronok chiese, girando su se stesso e puntando la pistola in aria, sentendo dei passi veloci in tutte le parti, ma non riuscendo a indentificare niente nonostante il lampione.
“Guarda il cielo, idiota, vedi il batsegnale? Niente batsegnale niente Batman”: ridacchiò Haxus, mettendo via la pistola. Quando udì nuovamente un rumore metallico, come se si fosse appena sfoderata una spada, ritirò fuori la pistola e poi il lampione si spense improvvisamente. Qualche pezzo di vetro cadde a terra, mentre entrambi gli uomini puntavano le loro pistole dappertutto.
“Merda”: Pronok imprecò, girandosi improvvisamente quando sentì passi più lenti dietro di lui, il dito tremante stretto al grilletto, ma non vide nessuno. Da qualche parte dal tetto degli edifici che perimetravano il vicolo, cadde un piccolo oggetto con leggere fluo viola, l’impatto con il suolo, fece spigionare dal piccolo cilindro un fumo bianco che ricoprì tutto in pochi secondi.
“Chi va là?”: Pronok esclamò, facendo cadere il sacchetto a terra per mirare meglio. Haxus ne approfittò, scattando in avanti e prendendolo, correndo subito dopo alla macchina, ansimando. Si fermò a pochi passi, quando una figura si lanciò dall’alto, atterrando in piedi proprio sopra l’auto parcheggiata. Nonostante il buio, si potevano riconoscere i spettinati capelli neri, il mantello viola scuro e l’armatura viola contornata da particolari oro, bianchi, rossi scuro e strisce neon viola e rosse sul petto.
“Zarkon!”: urlò, correndo fuori dal vicolo mentre l’altro uomo lo seguiva. Il supereroe sogghignò, saltando dall’auto al lampione, prendendo con la mano sinistra la spada che aveva usato per romperlo mentre con la destra ne sfoderava un’altra dalla schiena. I due uomini corsero fuori dalla stradina, correndo e ansimando per le strette vie del quartiere povero, sporco dove si trovavano. Quando voltarono angolo, prendendo una vietta che portava verso un quartiere più popolato di notte, si accorsero che la strada era bloccata da un grande contenitore di immondizia, piazzato orizzontalmente in modo da evitare il passaggio.
“No! No! No!”: esclamò Pronok, indietreggiando, andando poi a sbattere contro qualcosa. O qualcuno. Si accorse subito dell’errore, urlando e tornando indietro, vedendo l’uomo mascherato, ma prima che potesse fare qualche altro passo, Zarkon usò la spada, infliggendogli un taglio netto e profondo proprio sul petto. Pronok cadde a terra, tenendosi una mano sul petto mentre il sangue sgorgava dalla ferita profonda ma non letale. Haxus, nel mentre, nonostante lo spavento, aveva approfittato della distrazione del supereroe, scappando.
“Dov’è Sendak?”: Esclamò Zarkon, prendendolo per il colletto della giacca e agitandolo violentemente. L’uomo non rispose, lasciandosi scappare una leggera imprecazione di dolore mentre l’emorragia prendeva il sopravvento.
“Dov’è Sendak?”: Ripetè, dandogli uno schiaffo in faccia:” Dimmi dove si trova o ti faccio morire come un bastardo!”
“Fanculo…”: gnugnì, tossendo del sangue dalla bocca:” Non lo so…”
Lui ringhiò, tirandolo su per il colletto e facendolo sbattere contro il muro in pietra dandogli il colpo letale, esclamano dalla rabbia e disperazione, ansimando vedendo il corpo senza vita davanti a lui. Diede un pugno al muro dove c’era del sangue e poi un altro.
Zarkon non era un supereroe conosciuto da tutto il mondo, ma tutta Gotham sapeva che era tra tutti il più vendicativo e, in un certo senso, peggiore. Tutti i cattivi sapevano quanto fosse emotivo, ma allo stesso tempo letale, soprattutto nei confronti del più grande nemico di Gotham, Sendak, dopo la morte del Joker. Lui incuteva terrore, spaventava le proprie vittime, attaccava velocemente, ma allo stesso tempo le faceva soffrire infliggendo loro ferite grandi e profonde, ma capaci di lasciarli vivere per sentire il dolore.
“Keith, cerca di riprendere il controllo. Non andare a cercare Sendak.”: Takashi gli ordinò dal piccolo e invisibile auricolare. Lui si tirò indietro la frangetta, asciugandosi del sudore dalla fronte.
“L’altro è scappato.”: fece notare, infilando le spade nelle fodere sulla schiena, prendendo dalla cintura deli pantaloni un rampino che le condusse fino al tetto:” Devo solo trovarlo”
“Keith, fermati. Devi fidarti, Keith, torna a villa Wayne, ho una brutta sensazione”: ripetè, il tono leggermente preoccupato e allarmato. Lui alzò gli occhi al cielo
“Bruce ha lanciato il Batsegnale, tutti i supereroi si stanno radunando nella piazza della città e c’è qualcosa di grosso e imponente che si sta avvicinando dallo spazio”: lo avvertì nuovamente, ma alla prima frase i suoi occhi si aprirono.
“Scordatelo Takashi, potrebbero aver trovato dove si nasconde Sendak”: Keith sogghignò, camminando più velocemente, la sua mano pronta sull’auricolare.
“Keith, no-!”: Interruppe le comunicazioni con un semplice tocco, togliendosi l’auricolare e lasciandolo cadere a terra, pestandolo con un piede.
“Scusa Takashi”: disse, guardando l’auricolare distrutto, e iniziando a camminare sui tetti per raggiungere il più velocemente possibile la piazza della città. Per sua sfortuna, il tragitto era parecchio lungo, ma ce l’avrebbe fatta con un’andatura veloce e costante.
Tuttavia, doveva ammettere che Takashi aveva ragione. Guardando l’orizzonte, si poteva già scorgere il sole e il cielo aveva assunto un colore rossastro, e Sendak usciva solo quando c’era buio. Inoltre tutto ciò sembrava una trappola, ma se tutti i supereroi erano in pericolo, allora sarebbe stato lui a liberarli. Forse allora i cittadini di Gotham lo avrebbero riconosciuto come un supereroe degno di essere conosciuto per il suo altruismo, e non la mania vendicativa verso Sendak.
Si fermò all’improvviso, impallidendo quando vide, a pochi grattacieli di distanza, la piazza e, davanti, non molto in lontananza, un’enorme astronave che non sembrava di pianeta conosciuti. Sentì la gente urlare, mentre i cittadini scappavano urlando dalle loro case quando l’astronave nemica iniziò a sparare sulle strade e poi sulle abitazioni.
Zarkon, sudando e ansimando, si sbrigò ad arrivare, notando volare sopra gli edifici un elicottero della polizia e uno della televisione. Dio, Keith avrebbe tanto voluto uccidere Nadia per aver gufato l’attacco, ma non era il momento per pensare di due giornalisti da strapazzo.
Corse il più velocemente possibile, ricordando poi che c’erano anche gli altri supereroi e che la città era al sicuro. Quando si accorse che una piccola navicella nemica, probabilmente un caccia, stava girando attorno a lui, era troppo tardi. Iniziò a sparare, facendo cadere Keith dal tetto in un vicolo, ferendolo alla gamba, rimbalzando tra i muri in mattone fino a terra, battendo contro il cemento. Si rimise in piedi nonostante la gamba dolorante, sibilando per il dolore e zoppicando fino al muro, dove si appoggiò.
“Merda…”: grugnì, gemendo dal dolore, accasciandosi alla parete e sedendosi, ansimando toccandosi la gamba ferita. I suoi occhi si aprirono di scatto sentendo la pelle leggermente bruciacchiata e non la solita sensazione di avere del sangue su tutto il polpaccio. Guardò nuovamente il cielo che diventava man mano di una sfumatura d’azzurro, le urla e gli attacchi che non si placavano, ma andava tutto bene. Tutti i supereroi del mondo erano lì, alla piazza, pronti a combattere, e avrebbero vinto. Zarkon si può riposare un po’…
La gamba aveva smesso di fare male, cosa molto sorprendente, mentre sentiva sirene della polizia o ambulanza ovunque, la vista leggermente annebbiata. Keith scosse la testa, alzandosi in piedi, usando il rampino per arrampicarsi debolmente sul tetto degli edifici, capendo che effettivamente qualcosa non andava. Gli attacchi sembravano diminuire, eppure non c’era alcuna traccia di un altro supereroe professionista.
Capì il perché solo qualche minuto, il sole leggermente alto nel cielo, le astronavi nemiche che si allontanavano dalla città, ma atterravano abbastanza lontano dai confini, la piazza completamente distrutta, i corpi inceneriti di tutti i supereroi.
“No. No. No!”: esclamò Zarkon, correndo nonostante il fastidio al polpaccio verso i cadaveri, riconoscendo tutti i supereroi, uno per uno. Tutti morti. Persino Bruce. Persino Batman.
“Maledetti bastardi!”: urlò al cielo con tutta la voce che gli rimaneva verso l’astronave che atterrava lontano da Gotham. Sfoderò le spade affilate e già sporche di sangue, asciugandosi la frangetta bagnata, pronto a scattare.
Il suo sviluppato udito percepì un suono, debole e spezzato, provenire dal confine della piazza, vicino alle macerie degli edifici e dei negozi distrutti. I sopravvissuti e i feriti che riuscivano a camminare erano riusciti a scappare, e per un attimo pensò di aver sentito male. Ma quando quel richiamo, quello stesso identico richiamo, si ripeté, girò la testa, vedendo un uomo sulla trentina, capelli castani e occhi marroni, sdraiato a terra, ferito gravemente, allungare la mano in segno di aiuto.
E in quel momento, per la prima volta, si ritrovò davanti a due scelte: uccidere il colpevole di tutto, o aiutare un singolo individuo? La sua mente diceva di andare avanti, seguire l’astronave e uccidere tutti, insisteva continuamente, ma allora perché era ancora fermo?
Urlò dalla tensione, correndo verso la persona ferita con un ringhio, inginocchiandosi di fianco a lui, vedendolo lentamente perdere conoscenza.
Team Voltron Heroes. Capitolo 2: Matt
Gotham city, anno 2134
Il suono della sveglia lo fece alzare di colpo, riportandolo nel mondo reale. Rimase un po’ a letto, guardando il vecchio soffitto in mattoni e sospirando, sentendo che sarà un’altra giornata uguale a tutte le altre. Mattew Holt sapeva che la quotidianità era il suo forte tanto quanto lo erano i computer e la tecnologia, quindi per lui ripetere le stesse azioni ogni giorno e nello stesso preciso ordine e tempo era rilassante. Per quanto potesse essere sempre curioso e affascinato da molte cose, era anche un uomo preciso e ordinato, soprattutto durante la sua routine.
Alzandosi e dirigendosi verso il vecchio bagno, zoppicando lentamente sulle gambe indebolite dalla notte, aprendo un mobiletto in acciaio con alcuni foglietti verdi dove si appuntava le cose, prendendo oggetti per la piccola barbetta che aveva e che tagliava senza pietà ogni fine settimana. Sbadigliando aprì un prodotto per capelli e massaggiò il cuoio capelluto, seguendo rigorosamente ciò che scrivevano sul foglietto della confezione.
Passato poi dal piccolo ma comodo angolo cottura, si fece del caffè amaro e lo bevve con calma alla vista della luna avvicinarsi sempre di più all’orizzonte, e alla grande piazza di Gotham che si svuotava man mano della gente notturna. Matt ridacchiò tra sé e sé, nonostante vivesse letteralmente al centro della città con il tasso di criminalità più alto del mondo, non aveva per nulla paura dei criminali, e anche se avesse i giusti poteri, non voleva diventare un supereroe.
Solo la classica e tranquilla normalità, ecco cosa gli piaceva.
Si mise una felpa verde e dei jeans marroni, scese poi le traballanti e scricchiolanti scale in acciaio che conducevano dalla sua piccola abitazione al secondo piano al negozietto di elettronica e riparazioni al piano terra.
“Buongiorno BaeBae, nessuno è venuto a derubarci stanotte, vero?”: sorrise Matt, vedendo la cagnolina scodinzolare alla sua entrata, accogliendolo cercando gi leccargli le scarpe. Lui l’accarezzò sorridendo, buttando via il giornale del giorno prima sbuffando leggendo nuovamente il titolo della prima pagina. Aperte le saracinesche, si sedette alla scrivania lavorando su un computer rotto preso a pochi dollari a un’asta. Buco sullo schermo che aveva danneggiato completamente i circuiti interni, irriparabile anche secondo i migliori. Matt sogghignò. Toccandolo, emettendo una lieve luce verdasta, il buco si chiuse senza lasciare una minima traccia o graffio. Le zampe anteriori appoggiate alla scrivania mentre scodinzolava vedendo l’intero processo.
“Shh… Non lo dirai a nessuno, vero vecchiona?”: lui le fece l’occhiolino, scrivendo su un foglietto il prezzo del computer ora riparato e posizionandolo in mostra su uno scaffale e mettendosi fieramente le mani sulla vita. Eppure, proprio in quel momento, sentì un forte tondo che fece vibrare leggermente il pavimento, affacciandosi alla porta in vetro del negozio, vide tutti i supereroi riuniti nella piazza, insieme a quella che sembrava un’astronave aliena sconosciuta. Dal centro di quella astronave, si poteva vedere una sfera di potenza crescere gradualmente, e la mente tecnologica e intelligente di Matt sapeva che stava preparando un attacco imminente, che avrebbe probabilmente distrutto la piazza e il suo negozio. Eppure c’erano i super, potevano proteggerli, dovevano proteggerli.
Poteva sentire BaeBae piagnucolare spaventata vicino alla porta che conduceva alla cantina, un luogo protetto che aveva costruito come se fosse un bunker sotterraneo.
“BaeBae, vai dento”: ordinò lui, e il cane non se lo fece ripetere due volte, correndo con la coda tra le gambe, aprendo la porta con la zampa e scendendo le scale.
Rimase lì alla porta, stupidamente, ma curioso di vedere per la prima volta gli eroi in azione dal vivo e durante il giorno, perché proprio dietro l’astronave si vedeva il sole crescere sempre di più e alzarsi in cielo. L’astronave nemica attaccò, lanciando un raggio laser e distruggendo una buona parte della piazza, i corpi di quelli che erano lì carbonizzati.
“Merda…”: dopo quella visione, Matt si precipitò verso la porta, ma un colpo vicino lo fece cadere, rompendo molte mensole. Si rialzò, sentendo la testa pulsare e vedendo la porta davanti a lui bloccata da pezzi di acciaio caduti dalle mensole. Tirò con tutte le sue forze, ignorando i continui tremolii e colpi che pian piano distruggevano quasi tutto, meno che la sua piccola palazzina. Forse era fortuna, o forse i supereroi stavano combattendo, ma non importava adesso. Voleva solo mettersi in salvo e sopravvivere. Da dietro la porta poteva sentire i piagnucolii di BaeBae mentre raschiava il legno, cercando di aiutare il più possibile.
“BaeBae, torna dentro!”: Sibilò, provando a tirare o spingere con tutte le sue forze o cercando addirittura di sfondarla. E poi, sentì un forte dolore al fianco quando venne violentemente spinto nella strada insieme alle macerie di quello che prima era la sua casa e il suo negozio. Mentre la sua visione era soggetta a flash bianchi e neri, poteva vedere la piazza e le strade distrutte, il suo corpo dal fianco in giù completamente immerso da detriti pesanti e cavi d’acciaio. Il sole aveva già preso posto nel cielo, dicendo a Gotham che era mattina e mentre Matt stava lentamente svenendo, vide una figura in un’armatura nera e rossa, un mantello viola e capelli neri.
Un supereroe. Forse l’unico supereroe a essere sopravvissuto. E lo conosceva. Zarkon. Non era mai stato molto altruista nei confronti dei cittadini, conosciuto per la sua sete di vendetta verso Sendak, ma forse…
Allungò il braccio, cercando di urlare nonostante la debolezza, viaggiando tra la coscienza e l’incoscienza. Solo quando lo vide girarsi e correre verso di lui, finalmente, chiuse gli occhi.
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Quando Matt aprì gli occhi, non era più circondato di macerie o in mezzo alla strada. Sbattendo gli occhi un paio di volte, aveva pensato fosse solo un incubo, ma poi, guardando meglio il soffitto, verdastro e oro con un lussuoso lampadario, diverso dal puzzolente mattone vecchio, si ritrovò parecchio confuso.
“Non pensavo lo avessi salvato…”: due voci maschili stavano dialogando, l’annebbiamento alla testa gli impediva di capire chi erano o dov’era.
“Non avevo altra scelta…”: rispose un’altra voce, abbastanza più giovane:” Mentre tu e Kosmo eravate a fare l’ispezione con Sanda e Iverson, io l’ho portato qui ma… è strano… non ho avuto bisogno di curarlo…”
“Keith?”: L’uomo più grande disse con voce di rimprovero.
“E’ stato ferito con un spesso filo di acciaio, quando lo portavo sanguinava ma appena sono arrivato qui… la ferita si era già ricucita da sola…”: si giustificò l’altro:” Era… verde…”
Matt strizzò nuovamente gli occhi, strofinandoseli e gemendo, facendo rimbalzare i due uomini.
“Sei sveglio”: disse il primo, avvicinandosi al letto comodo della stanza degli ospiti e guardandolo:” Ti ricordi come ti chiami o cosa è successo?”
“Mi chiamo Matt…”: rispose lui, sedendosi senza troppa difficoltà e strofinandosi gli occhi:” Ricordo che un’astronave ha attaccato la piazza e i super”
“Oh… wow… non male…”: disse sorpreso l’altro, che se stava a braccia incrociate vicino al letto, ma più distante rispetto al primo. Matt lo guardò sgranando gli occhi. Capelli lunghi e neri. Occhi viola.
“Tu sei Zarkon”: disse guardandolo dalla testa ai piedi, con una giacca rossa, leggins e maglietta nera.
“Sì, sono io. Keith Kogane”: lui allungò il braccio, con un debole sorriso.
“Beh, grazie per avermi salvato… immagino…”: balbettò, stringendo saldamente la mano:” Sei l’unico sopravvissuto?”
L’uomo annuì, mordendosi il labbro, guardando l’altro uomo. Aveva accenni giapponesi, inoltre i suoi vestiti curati ed eleganti dicevano che probabilmente lui viveva in quella casa lussuosa. Guardandosi intorno poteva vedere le pareti dello stesso colore del soffitto, mobili e oggetti abbastanza rustici e costosi e la villa della città all’orizzonte.
“Come hai fatto?”: chiese improvvisamente Keith, guardandolo con uno sguardo leggermente curioso e intimidatorio.
“A fare cosa?”: lui alzò un sopracciglio, scuotendo la testa confuso, mentre l’altro faceva uno scatto in avanti, alzandogli la maglietta per vedere dei piccoli addominali e una cicatrice che stava lentamente guarendo da sola nel fianco.
“Keith-“: l’uomo più anziano si lasciò sfuggire uno sbuffo.
“Non ora Takashi!”: ringhiò Keith:” Come puoi farlo? Sei stato trafitto da un filo d’acciaio, diavolo, e non ho nemmeno dovuto disinfettare niente!”
“Lo posso fare?”: Le sue sopracciglia si alzarono sorpreso, la bocca in un leggero sorriso, solo fissando i due uomini spaventati scosse la testa e si scusò.
“L’importante è che ti sei ripreso…”: Takashi sorrise gentilmente, trasmettendo una calma confortante. Quell’uomo lo incuriosiva molto, dandogli un’aura di calma e tranquillità, ma soprattutto mistero, sentendo nella sua mente acuta e logica che lo aveva già visto da qualche parte.
“Kosmo! Che cavolo!”: esclamò Keith, mettendo le mani alla testa quando un enorme lupo corse nella stanza, interrompendo entrambi da quell’attimo di contatto visivo confortante. L’animale, che sembrava più una gigante palla di pelo, sbatté contro un piccolo comodino, facendolo traballare e cadere, rompendo l’elegante vaso in vetro che c’era sopra, seguito da niente meno che BaeBae.
“Vecchiona!”: esclamò Matt, tendendo le braccia aperte e, quando lei lo vide, si fermò scodinzolando allegramente dal gioco, saltando con molta fatica sul letto e leccandogli tutta la faccia.
“Io e Kosmo l’abbiamo trovata chiusa dentro una cantina-bunker mentre facevamo un giro di pattuglia con Iverson e Sanda, avevamo intenzione di portarla in canile oggi pomeriggio se non trovavamo il preopetario…”: Spiegò Takashi calmamente:” Beh… li chiamerò che non ci sarà più bisogno…”
Lui annuì, accarezzandola e facendole le coccole, contento e felice di vederla di nuovo con sé e viva, la paura di perderla un’altra volta.
“Grazie… Grazie davvero…”: sorrise, abbracciando la cagnolina e guardando nuovamente l’uomo seduto ai piedi del letto.
“Un supereroe deve aiutare…”: sorrise, mentre Keith brontolò un’altra volta alzando gli occhi al cielo, Matt annuì, asciugandosi delle lacrime salate che erano scese dalle sue guance, accarezzò nuovamente le orecchie di BaeBae.
“Va bene… Ti ho salvato, ma voglio lo stesso sapere comunque come hai fatto”: l’altro si avvicinò, alzando un sopracciglio con aria impaziente e autoritaria:” A curarti, intendo”
“Ecco… io non sapevo potessi farlo…”: rispose, sorridendo nuovamente guardando la cagnolina:” Ho un… ehm… chiamiamolo superpotere? Posso modificare e manipolare le tecnologie a mio piacimento… ma non pensavo potessi curarmi…”
“Le tecnologie, eh?”: Keith alzò un sopracciglio, muovendo la testa agitato:” E non hai mai pensato che forse avresti potuto diventare un supereroe e salvare vite? Avevi paura?”
“Non avevo paura, se questo intendi!”: ringhiò Matt, cercando di sembrare minaccioso:” Ho solo preferito la normalità, cosa c’è di male?”
“Cosa c’è di male? Hai aperto un negozio di elettronica, egoista!”: strinse i denti, avvicinandosi cercando di sembrare minaccioso, tuttavia la mente acuta dell’uomo più grande vide come stranamente zoppicava cercando di camminare normalmente per acquisire una forma minacciosa.
“Non voglio combattere”: disse semplicemente, senza sembrare troppo arrabbiato o infastidire:” Ed essere supereroi non è un obbligo, e io non sono di certo egoista!”
“Pensala come vuoi”: Keith strinse nuovamente i denti, sistemandosi la giacca e uscendo dalla stanza zoppicando. L’uomo scosse la testa quando BaeBae gli leccò nuovamente la guancia, riportandolo alla realtà.
Matt aveva sempre saputo, come lo sapevano tutti a Gotham, che Zarkon era un po’ scorbutico, e chi si nascondeva dietro la maschera non poteva essere da mano, tuttavia notava che allo stesso tempo, il ragazzo che si definiva come Keith Kogane, sotto la sua natura antipatica e crudele, si celava un segreto delicato e fragile; una debolezza che era la causa di tutto. E lui sapeva come ci sentiva, lui lo sapeva perché tutti gli uomini, anche quelli più potenti la hanno.
“Quanto tempo sono stato fuori?”: chiese infine, guardando nuovamente Takashi.
“Tre giorni… La città è un po’ nel caos, e anche tutto il mondo… Servono dei supereroi”: lui rispose, parlando con quella calma confortante nel tono, che faceva rilassare ogni muscolo.
“Tu conosci Zarkon, perché non combatti?”: Alzò un sopracciglio, notando la cicatrice sul naso e il ciuffo di capelli bianchi, e il braccio protesico in metallo.
“Io ho perso troppo, il mio supereroe non esiste più…”: raccontò con un sospiro, la voce leggermente tremante, mentre tirava fuori dalla mente un ricordo tutt’altro che piacevole.
“Capisco…”: Matt riflettè, guardando nuovamente l’uomo:” Tu eri Shiro, giusto?”
L’uomo giapponese annuì, guardandosi nuovamente il braccio in metallo scomodo e freddo, per poi spostare nuovamente l’occhio sulla persona seduta davanti a lui. Capelli corti castani, occhi oro, intelligente e intuitivo, gli ricordava molto qualcuno.
“Io e te ci siamo mai conosciuti?”: chiese semplicemente, un pizzico di curiosità nella voce:” Puoi ripetermi un attimo il tuo nome?”
“Matthew Holt”: rispose, lui sgranava gli occhi cercando nelle parti più remote del cervello qualcosa… e poi all’udire il suo cognome, come se so fosse accesa una lampadina, ricordò.
“Holt?”: ripetè come se fosse una domanda per accertarsi:” Come dottoressa Holt?”
“Era mia madre…”: rispose Matt, mentre anche lui iniziò a ricordare:” Tu sei… Taki? Dell’orfanotrofio?”
“Mattie”: esclamò lui, finalmente mettendo tutti i pezzi insieme, ricordando felicemente il suo amico d’infanzia. I due si scambiarono un caloroso abbraccio, ritrovati.
“Takashi… Ero rimasto che dovevi essere adottato da Bruce Wayne”: Esclamò, facendo sbattere le mani, sentendo di esservi ovviamente, e per un motivo altrettanto triste e delicato.
“Infatti”: Annuì, alzandosi dal letto e allargando le braccia, indicando tutta la stanza:” Adesso è tutto mio questo, ma non parliamo di me, amico. Eri scomparso! Per tutto l’Ohio c’erano volantini con la tua faccia sopra!”
“E’ una storia molto lunga, e non la dirò qui”: Matt sorrise quando quella temuta domanda arrivò, ma dopotutto le sue erano false speranze.
“Vedo che c’è molto da raccontare allora”: ridacchiò:” Iniziamo da me”
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Keith camminava a testa china, mani in tasca mentre passeggiava tra le strade principali, la gente dopo tre giorni si era, per fortuna, un po’ tranquillizzata, così come il misterioso nemico che aveva attaccato Gotham. Il sole si nascondeva dietro dei nuvoloni, mentre l’aria fresca gli colpiva la pelle scoperta sul collo. Il viaggio dalla villa alla città è stato piuttosto ventoso, tuttavia ha sempre trovato l’aria costante sul corpo mentre guidava la moto piuttosto piacevole.
Le strade e il marciapiede erano ovviamente affollati, e schivare tutte quelle persone, soprattutto quando era in una crisi di nervi, era piuttosto snervante. Il fatto che nessuno lo avesse ancora urtato lo stava tenendo sotto controllo, evitando che la bomba dentro di lui esplodesse.
…
Appena detto. Stava camminando vicino ad un incrocio mentre lo pensava, e in quel momento, un castano dalla pelle abbronzata gli è andato addosso mentre parlava con la ragazza bionda dietro di lui.
“Che cavolo!”: esclamò l’altro, mentre entrambi cadevano a terra sull’asfalto caldo e scomodo del marciapiede. Un attimo per guardarsi, solo per vedere chi avessero colpito, mentre la donna dai codini bassi biondi restava ferma in piedi accanto, le mani sulla bocca.
“Io ti conosco!”: esclamarono entrambi allo stesso tempo.
“Lance! Riconoscerei quegli occhi di merda ovunque!”/”Keith! Riconoscerei quella triglia orrenda ovunque!”
Ancora una volta, pronunciarono le frasi nello stesso momento, mentre Keith lo levava da dosso dandogli uno spintone. Lance perse nuovamente l’equilibrio, ma stavolta la donna di prima lo prese e lo rialzò prima di farlo cadere a terra.
“Lui è Keith?!”: esclamò lei, mettendosi di fianco a lui con un’espressione sorpresa, cambiando cercando di essere minacciosa:” Lasciaci andare, mostro!”
“E il mostro sarei io?!”: esclamò, avvicinandosi a loro, mentre lei si nascondeva dietro Lance:” Parla l’atlantideo!”
“Lascia stare, Romelle. Sono cose da uomini!”: ringhiò lui, avvicinandosi a sua volta mentre lei alzava gli occhi cielo:” Perché, cosa c’è di strano? Odi i turisti? Gotham ne è piena!”
“No, odio solo voi!”: rispose incrociando le braccia:” Tornate negli abissi!”
Riuscì a finire la frase, per poi essere colpito alla mascella. Il colpo lo fece cadere nuovamente a terra, il labbro sanguinante. Si guardò intorno, vedendo numerose persone che li circondavano, curiosi del casino che si era appena creato e Keith, che non era dell’umore giusto per una scenata, si alzò e se ne andò.
“Bastardi”: sputò del sangue per terra, tornando alla villa.
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Quando Keith tornò alla villa, l’abitazione era piena di risate provenienti dai piani superiori. Entrato nella stanza degli ospiti, vide Takashi e Matt parlare e scherzare animatamente sul letto, le mani del tecnico saldamente sul braccio protesico, gli occhi chiusi e i palmi leggermente illuminati da una lucina verdastra. Entrò senza fare rumore, vedendo BaeBae sul letto e Kosmo seduto di fianco a Takashi, entrambi che scodinzolavano alla scena.
“Già migliori amici, eh?”: entrò, accarezzando il lupo, e sentendo il dolore alla mascella mentre si sforzava a parlare.
“Ow… Dovrebbe fare male…”: sibilò Matt, mentre l’altro uomo si metteva una mano sulla fronte.
“Sei già andato a immischiarti in una rissa?”: brontolò con un sospiro, non sapendo più che fare.
“Non era una rissa. Ho rivisto Lance”: rispose, mentre il castano gli prendeva il mento per vedere la ferita, accarezzandola con un dito.
“Non puoi sempre essere impulsivo, Keith”: lo rimproverò il giapponese:” Quando diventerai un leader metterai tutta la squadra in pericolo!”
“Ma non sono un leader!”: ribattè, sibilando per il dolore quando toccò un punto sensibile e delicato sul labbro. Matt annuì, chiudendo di nuovo gli occhi e facendo nuovamente la sua magia, i palmi verdastri mentre illuminavano la pelle troppo pallida di Keith, curando il taglio sul labbro.
“Stavolta sono serio, davvero non vuoi essere un supereroe?”: stavolta la voce era molto più dolce e gentile, ma allo stesso tempo assumeva un tono più ansioso e supplicante e non si sarebbe mai aspettato di sentirla da Zarkon. Lui si morse il labbro, ripensando a tutta la sua vita, ai suoi amici, genitori, famiglia… tutto.
“Solo perché so che la gente non ti prenderebbe sul serio”: rise, dandogli un leggero pugno sul petto quando finì:” Ma prima ti guarisco la gamba, devo fare pratica!”
“Non penso ci sia tempo”: la voce fredda, seria di Takashi fece rabbrividire entrambi, interrompendo la piccola e corta sinfonia di pace che si era creata. L’uomo più vecchio era in piedi alla finestra, le mani dietro la schiena e lo sguardo fisso verso la città.
“L’astronave si sta muovendo…”